Il Metauro
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I ricordi di Marco, il passaggio del fronte e quel Natale del 1944

Marco Manoni racconta i momenti drammatici del passagio del fronte, fino al Natale di quel 1944 segnato da tanta speranza per il futuro.

marco manoni coronavirusLUCREZIA – I ricordi di Marco Manoni di quel 1944, anno del passaggio del fronte di guerra a Lucrezia.

La nostra era una famiglia contadina, abitavamo in una casa colonica ed io avevo sei anni. Soffiavano i venti di guerra e c’era tanta paura.

Ricordo una notte d’agosto quando ci svegliarono stormi di aerei che sganciavano bombe, i sibili delle cannonate, il cigolio dei carri armati. Era il passaggio del Fronte di guerra sul nostro territorio.

Passavamo le notti nel rifugio sotterraneo, pieni di paura, c’erano tanti fanciulli e bimbi piccoli, mi ricordo una colonna sonora di pianti e coccole delle mamme.

Ricordo nonna Caterina che, appena l’atmosfera di chetava, prendeva in mano il rosario e sottovoce, tutti insieme, chiedevamo a Gesù la salvezza soprattutto dei più piccoli.

Arrivò la fine di agosto, con l’aiuto dei soldati polacchi e dell’esercito americano ed inglese, ritrovammo la pace e tanta speranza.

A settembre, per me e mia sorella Leda arrivò il tempo dell’inizio della scuola, il primo anno delle elementari. Ma la situazione era disastrata, le scuole erano state abbattute dai soldati tedeschi, così non si sapeva dove poter fare lezione.

In qualche modo fummo fortunati perché la nostra insegnante, Giulia Corsini, possedeva una casa colonica in via Pilone e la mise a disposizione del direttore didattico, lì passammo il nostro primo anno di scuola. Avevamo a disposizione un grande magazzino in condivisione con i bachi da seta.

Il mese di settembre ci regalò tante belle giornate di sole. Questo convinse la maestra a portare i banchi di scuola sull’aia del contadino. Così potevamo godere, durante le lezioni, della compagnia di mamma chioccia e dei suoi pulcini. Sopra di noi volteggiavano passeri e usignoli, il gatto sonnecchiava sul marciapiede, Dio che bel ricordo!

Purtroppo dopo la guerra dovemmo sopportare un altro dolore: la morte di un nostro compagno di classe che si chiamava Dante. Dio quanta tristezza! Non riuscivamo a renderci conto.

Ricordo che andammo al suo funerale, a piedi, accompagnati dalla nostra insegnante. Entrammo nella sua cameretta, al centro c’era la piccola bara, attorniata da tanti vasi di fiori.

All’arrivo del nostro parroco don Ettore, quattro giovani la portarono a spalle, amici e parenti si accodarono in preghiera, si udiva soltanto il pianto dei suoi genitori disperati.

Il corteo si avviò verso la cantina Pandolfi, luogo che faceva le veci della chiesa distrutta. Ricordo una splendida giornata di fine estate. Sui lati della strada tanti fiorellini, le farfalle volteggiavano gioconde, nel cielo azzurro le rondini planavano sul corteo, i davanzali delle finestre erano pieni di vasi in fiore: un’anticamera del Paradiso per il piccolo angelo Dante!

Passa il tempo e arriviamo così in prossimità del Natale e a noi fanciulli mancavano vestiti e scarpe ma soprattutto mancava anche il denaro per comprarli.

Così dovemmo rimediare con la nostra sarta Olvide. Per le mie sorelle aggiustò qualche vestito che mamma aveva portato in dote. Mentre per me, i nonni materni andarono al mercato a Saltara con due agnellini. Con il ricavato dalla loro vendita acquistarono la stoffa per realizzare un paio di calzoni alla zuava.

Per le scarpe babbo Giovanni le ricavò da un tronco di pioppo. Zio Enrico, il nostro calzolaio, con una stoffa incerata disegnò le tomaie. A Natale mi vestiì uno stilista molto conosciuto allora che si chiamava miseria!

I giorni prima di Natale nonna Caterina e mamma Lidia confezionavano i cappelletti e la stracciatella. Anche quel Natale non mancò il dolce, un ottimo ciambellone!

La sera della Vigilia per noi giovani c’era il rito di igiene personale. Mamma Lidia posizionò una tinozza di legno nel corridoio della stalla, al caldo che mandavano le mucche e vitellini.
Nonna Caterina faceva il fuoco nel camino alla caldaia per il ricambio d’acqua. Uno alla volta, ci lavammo così!

La mattina di Natale di quel 1944, le donne di casa prepararono una lunga tavolata e a mezzogiorno pranzammo tutti insieme. Allora era tradizione che gli scolari preparassero una letterina che si metteva sotto il piatto del babbo che veniva letta prima di iniziare il pranzo.

Ricordo che la nostra insegnante non ci fece chiedere regali ma solamente ringraziare Gesù per averci salvato la vita.

Andammo alla messa di mezzogiorno, l’altare era posizionato nelle Cantine Pandolfi in mezzo a due enormi botti che emanavano un buon odore di vino.

Don Ettore nella sua omelia rimarcò più volte la parola “pace” dicendo: “La Pace quella vera non è solo assenza di guerra ma è un concetto che esalta la carità e l’amore, il perdono e la condivisione. Solo così si alimenta la Pace dei cuori!”.

Finita la Santa Messa ci fermammo sul piazzale della cantina scambiandoci gli auguri. In tutti c’era tanta speranza per un mondo davvero migliore!

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