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Scarpinato a Fano: “La verità non deve restare solo nelle aule di giustizia”

Il Procuratore Generale della Corte di Appello di Palermo apre la rassegna "Con le parole giuste"

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Roberto Scarpinato (a sx) con Francesco Messina (Associazione Nazionale Magistrati Marche)

FANO – “Vi sono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che ci viene insegnata, la storia ad “usum delphini”, e la storia segreta, dove si trovano le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa”. Con questa citazione del romanziere francese Honoré de Balzac il giudice Roberto Scarpinato, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo, ha aperto il primo incontro della rassegna “Con le parole giuste” organizzata dall’assessorato alle Biblioteche e alla Legalità Democratica del Comune di Fano, Mediateca Montanari e Fondazione Federiciana in collaborazione con Associazione Nazionale Magistrati – sezione Marche col sottotitolo “Il giudice, lo storico e la ricerca della verità tra violenza e menzogna. La parte segreta della storia”.

Con la citazione di Balzac Scarpinato ha sottolineato immediatamente un concetto ricorrente durante tutta la sua esposizione: la difficoltà per la Magistratura e per gli storici di portare alla luce la storia della criminalità perché intimamente connessa con il potere.

“Mi è tornato in mente – ha detto Scarpinato – nel corso della mia carriera, quello che Falcone chiamava “il gioco grande”, la lotta per il potere che solo in parte si palesa, che avviene soprattutto “dietro le quinte” e produce stragi, omicidi, soppressione di prove, depistaggi, messe in scena di suicidi. I mafiosi hanno eseguito numerosissimi delitti su mandato politico, tra i tanti l’omicidio del generale Dalla Chiesa. Per conoscere la storia globale – ha continuato Scarpinato – è necessario operare una sintesi tra storia pubblica e storia segreta. In nessun altro paese come in Italia la STORIA è connessa con la storia della criminalità organizzata. Tutta la storia italiana è segnata dalla collusione con la mafia e dall’incapacità concreta di ricostruire compiutamente le dinamiche a causa dell’insufficienza del materiale probatorio”.

scarpinato_fano_con_le_parole_giuste_pubblicoUna Sala Verdi piena e toccata dal racconto del giudice della scena della strage di via d’Amelio: “Io ci sono stato – ha detto Scarpinato – subito dopo la strage in via d’Amelio, non si riusciva a respirare talmente l’aria era satura di fumo, bisognava stare attenti a dove si mettevano i piedi, a non calpestare resti umani. La macchina su cui viaggiava Paolo Borsellino era in fiamme eppure un uomo in divisa riuscì a raggiungerla, in questo scenario apocalittico, e ad avvicinarsi alla sua borsa dentro la quale c’era la famosa agenda rossa di Borsellino, quella in cui lui annotava appunti e riflessioni segrete anche sulla strage di Capaci. Quando i vigili del fuoco spensero l’incendio e recuperarono la borsa la famosa agenda rossa era sparita e non venne mai più ritrovata”.

Anche dopo l’arresto del boss mafioso Salvatore Riina avvenuto il 15 gennaio 1993 avvenne una importante soppressione di prove: “La Magistratura voleva che l’abitazione – ricorda Scarpinato – fosse perquisita ma i carabinieri la convinsero dell’importanza di non farlo per non destare sospetti nei complici di Riina ancora ignari dell’avvenuto arresto e garantirono che questo avrebbe portato all’arresto di altri importanti mafiosi e che la casa sarebbe stata costantemente presidiata. Così non fu, i carabinieri abbandonarono l’abitazione del mafioso per giorni e così sparirono mobili, documenti e furono persino ridipinte le pareti.

L’incompletezza delle prove – ha continuato Scarpinato – alla quale sono condannati anche gli storici, li obbliga a procedere per saltum e per ipotesi senza avere la certezza scientifica. Penso ad esempio alla vicenda di Aldo Moro ancora oggi irrisolta in cui si scoprì che il brigatista Valerio Morucci, uno dei testimoni più influenti, era in realtà un uomo dei servizi segreti”.

Nel parlare del coinvolgimento sistematico di significativi settori della classe dirigente con la criminalità organizzata non poteva mancare uno degli esempi più celebri, quello del 7 volte presidente del consiglio e 22 volte ministro, Giulio Andreotti, il quale “ha avuto rapporti organici di collaborazione con la mafia” dagli anni ’90, ha partecipato a ben 2 summit mafiosi, uno dei quali avvenuto dopo l’omicidio di Mattarella, con gli assassini di Mattarella che non ha mai denunciato. In questo caso ed in altri i colletti bianchi non sono collusi ma sono essi stessi capi della mafia. I mafiosi – ha sottolineato il Giudice – non sono quelli che ci consegna la filmografia, che vediamo nelle fiction, brutti sporchi e cattivi, che vivono nei bassifondi con la playstation costantemente in mano e vengono elevati a icone del male di mafia. Questa è una visione negazionista propria di un Paese incapace di fare i conti con la propria storia, con il proprio passato oscuro.”.

“La rimozione di parti scomode della nostra STORIA è un torto alle giovani generazioni, significa privarli di potenti “anticorpi” per affrontare il presente. La verità – ha concluso Scarpinato – non deve restare nelle aule di giustizia ed è per questo che ho partecipato con grande piacere oggi a questo incontro ed ho parlato sia con la mente che con il cuore”.

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