L’incontro con la comunità dei migranti a Cartoceto
CARTOCETO – Appena arrivati nel paese giriamo a sinistra, verso il convento di Santa Maria del Soccorso. Prendiamo poi una stradina, all’inizio asfaltata poi sterrata, proseguiamo per circa un chilometro, in campagna, ed è proprio lì, in quello che stando alle intenzioni dei proprietari doveva essere un agriturismo, che vivono 25 immigrati, 23 uomini e 2 donne più alcuni bambini, uno dei quali nato meno di un anno fa in Italia e battezzato a Cartoceto.
Nel centro gestito dall’Associazione “Incontri per la Democrazia” sono in maggioranza africani ma di diversi stati, Ghana, Gambia, Nigeria ed ora ci sono nuovi arrivati provenienti dal Pakistan.
A farci da guida è don Piergiorgio Sanchioni, parroco di Tavernelle che, dal loro arrivo, visita regolarmente la comunità ospitata a Cartoceto. “Siamo una parrocchia confinante – ci dice – ho invitato anche i miei parrocchiani a fare visita a questi nostri amici!”.
“Come state qui, vi piace il posto? State bene in aperta campagna o vi piacerebbe vivere più al centro del paese?” chiediamo. “Noi stiamo bene qui, non abbiamo problemi, va tutto bene, è tutto ok” ci risponde uno dei due coordinatori. Africano, è in Italia da diversi anni, parla molto bene l’italiano, ha già svolto lo stesso ruolo in altri centri. Questo lavoro gli permette di poter aiutare la sua famiglia, moglie e figli che vivono in Africa.
I ragazzi frequentano dei corsi di lingua italiana a Pesaro e sono comunque liberi di muoversi con i mezzi pubblici (non tanti a dir la verità) a disposizione, per raggiungere i centri della valle. Ad accoglierci c’è anche Gibi, diminutivo di Gabriele, anche lui africano, 24 anni, molto pacato nei modi ed a lui spetta il compito di cucinare per gli altri.
Durante la chiacchierata emerge che è proprio l’ambito culinario quello in cui nascono alcuni battibecchi per i gusti diversi tra la cucina africana e quella pakistana.
Il sole bacia il pomeriggio della nostra visita. Ed a guardarli così, seduti insieme intorno ad un tavolo viene da interrogarsi su questa umanità, con storie tanto diverse tra loro, provenienti dai luoghi più diversi che per circostanze tra le più disparate si trovano a dover convivere, a dividere i pasti, gli spazi comuni, nell’attesa di avere i documenti necessari ad iniziare una nuova vita. “Se dovessimo essere noi a dover vivere la stessa esperienza?” è una domanda che balena nella mente.
Tra i più impazienti ad ottenere i documenti necessari per rifarsi una vita c’è un ragazzo pakistano di 36 anni, che è dovuto scappare dal suo Paese per motivi politici ma in Pakistan aveva una ditta tessile ed ha delle competenze che potrebbero servirgli anche qua in Italia. Parla fluentemente l’inglese ed il tedesco perché prima di venire in Italia è stato diversi anni in Germania e vorrebbe quanto prima andare a lavorare in una azienda tessile del posto da cui ci dice aver ricevuto una offerta di lavoro. “ Non vedo l’ora di avere i documenti per iniziare una vita migliore – ci dice – poter viaggiare liberamente visitare le bellezze architettoniche dell’Italia”.
Quando chiediamo loro se hanno fatto amicizia con i cartocetani ci dicono di sì che si vedono per fare una partita a pallone. I ragazzi africani amano giocare a pallone mentre i pakistani meno, perché in Pakistan scopriamo che lo sport che va per la maggiore è il cricket.
Intanto un piccolino ci osserva da lontano senza avvicinarsi attratto dal pallone di pallavolo e dalle scatole colorate che Don Sanchioni ha portato con sé. “Sapete cos’è la colomba, vi piace?” chiede loro. “Sì, ci piace” dicono tutti.
C’è un clima sereno, sarà la bella giornata, con un sole caldo che preannuncia l’estate che sta per arrivare nella grande casa di campagna di Cartoceto.
Lasciamo la struttura con un arrivederci. Ci chiedono di fargli avere le copie del giornale dove potranno leggere il racconto della nostra visita. Percorriamo a ritroso la strada verso il paese con la convinzione che davvero la conoscenza e l’incontro siano il migliore antidoto alla diffidenza e al razzismo.
Alessandro Marconi e Silvia Bonci