FANO – La riflessione di Fausto Antonioni, ex dirigente scolastico, sui fatti accaduti nel quartiere di Sant’Orso la notte del 31 ottobre scorso.
“Mano a mano che il tempo trascorre e riflettiamo su ciò che è accaduto a S. Orso nella notte di Halloween, il quadro diventa più completo di dati e informazioni ma per questo anche più preoccupante.
I giornali riportano che circa 200 siano stati i ragazzi che, nonostante i divieti, si sono dati ai festeggiamenti e ai rituali tipici della circostanza con modalità certamente non consuete.
Una parte di loro si è abbandonata ai danneggiamenti senza che nessuno tra gli altri si sia dato da fare per impedirli. E se tanti sono stati i ragazzi lì convenuti, evidentemente c’è stata una “chiamata”, la qual cosa conferisce al raduno un significato nuovo, quasi vi sia stato il desiderio di lanciare un messaggio preordinato nelle modalità e nelle finalità, una cupa simbologia da conflitto generazionale.
Sicuramente in uno stato di eccitazione collettiva, anche chi non si è direttamente implicato in queste azioni, le avrà vissute con un misto di adesione emotiva, di sconcerto e anche con preoccupazione. Il quadro insomma va visto con la capacità di distinguere per evitare di sottoporre tutti ad un uniforme giudizio negativo e di condanna.
Detto questo, però, le responsabilità vanno accertate e gli atti compiuti puniti secondo la legge. Dunque individuazione dei responsabili attraverso i mezzi di accertamento disponibili, le testimonianza dei presenti, i verbali delle forze di polizia e vigilanza.
Trattandosi di minori, scatta evidentemente e di riflesso una responsabilità oggettiva dei genitori su cui ora grava, una volta singolarmente attribuite le colpe, il risarcimento del danno. E’ importante che le istituzioni facciano il loro dovere tutelando i cittadini e l’intera comunità danneggiata materialmente e moralmente da tali comportamenti. La riaffermazione di una autorità pubblica è di per sé un fatto educativo che impone una riflessione ai colpevoli e ai loro genitori.
Superata però questa fase, si impone un piano di prevenzione che utilizzi la leva educativa. Bisogna chiedersi che rapporto vi possa essere tra queste manifestazioni e la condizione odierna degli adolescenti che da mesi, come tutti i cittadini d’altronde, vivono il tempo incerto della pandemia tra limitazioni e divieti che incidono profondamente sulla libertà di movimento, sospendono relazioni affettive tra i sessi molto importanti in questa età, costringono entro le mura domestiche per mesi accentuando la presa virtuale sul mondo e la conflittualità con i genitori, trasformano la camera da letto in un volontario reclusorio, impongono la didattica a distanza che i ragazzi non amano, rompono le solidarietà di gruppo che non a caso vengono ritrovate nel momento collettivo della festa e nella sua degenerazione distruttiva.
Halloween come pretesto per manifestare contro il mondo adulto dove peraltro, per ragioni diverse ma convergenti, il disagio si esprime con iniziative analoghe, ugualmente esposte alle degenerazioni violente e distruttive ma con un tasso di “comprensione” ben diverso nel mondo stesso della politica.
In Italia la didattica a distanza è stata introdotta nel 100% delle scuole secondarie superiori a differenza che in altri paesi europei dove si è chiuso tutto o quasi salvaguardando però la didattica in presenza.
Non sarà un caso se tutti i ragazzi, alla ripresa dell’anno scolastico, intervistati dai media hanno detto chiaramente che ciò che più era mancato loro nei lunghi mesi del “blocco” erano i compagni di classe, i docenti, la scuola.
Poiché è la scuola che in questa età offre quel tessuto connettivo fatto di emozioni e affetti che saldano la fragile individualità personale con la rassicurante individualità del gruppo, coniuga la identità singola con quella collettiva.
C’è davvero da riflettere se, negando la scuola agli adolescenti della secondaria superiore non si sia eliminato anche quello spazio di dialogo rimasto con il mondo adulto mediato dalla cultura, dalla conoscenza, dal sapere ordinato delle discipline di studio.
E’ il momento del “che fare?”. Occorre offrire una possibilità di parola, la parola come cura, la parola come spiegazione a se stessi e tra i tanti “sé stessi” che compongono le costellazioni adolescenziali.
Una possibilità di parola offerta da subito dagli insegnanti che mai come ora dovrebbero farsi “educatori” nel senso letterale del termine, capaci cioè di tirare fuori dai ragazzi lo strato di emozioni depositate in loro stessi così da ricucire lo strappo tra loro e il mondo ostile governato dalla pandemia.
Un compito affidato anche ai genitori, ai quali va indirizzato l’appello perché non disdegnino il dialogo, l’ascolto sincero e gratuito, non valutativo ma aperto alla doppia trasformazione di sé e dei loro figli. Se non ora, quando?
E ai ragazzi di S. Orso va fatta una “chiamata” diversa e positiva: rendetevi disponibili a collaborare per ripristinare anche manualmente, lavorando con gli adulti, ciò che una notte di follia ha distrutto non solo materialmente ma anche dentro il rapporto intimo della comunità del quartiere.