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Un nuovo invaso sul Candigliano, ma è davvero la scelta giusta?

Le riflessioni sul progetto del nuovo invaso proposte da GrIG Gruppo Intervento Giuridico, Guardie Giurate WWF Marche, Associazione La Lupus in Fabula

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L’area che dovrebbe essere interessata dal nuovo invaso

PESARO – “Con andamento periodico, viene riproposta l’idea di creare un altro bacino nelle aree interne della  nostra Provincia.

La possibilità di accedere ai fondi previsti dal Piano Nazionale Invasi e, forse, a quelli del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pare abbia scatenato “violenti  appetiti” .

Da qui la decisione di Marchemultiservizi, assecondata dall’ATO, di promuovere un’attività di ricognizione e screening finalizzata alla valutazione di siti potenzialmente idonei alla realizzazione di invasi ad uso idropotabile.

Alla fine, però, nessun sito individuato è risultato realmente idoneo e alla scelta di San Martino del Piano (Alto Candigliano) si è arrivati solo perché caratterizzata da criticità tecnico-ambientali relativamente “minori” rispetto agli altri siti. Quindi si tratterebbe, comunque, di una forzatura.

UNA ZONA DI ALTISSIMO VALORE AMBIENTALE

La zona in questione, di altissimo valore ambientale, è sconosciuta ai più, priva di vie di comunicazione e persino di sentieri escursionistici; già questa condizione dovrebbe essere sufficiente a far comprendere che il sito è un’autentica rarità nel contesto geografico peninsulare (l’Italia è un paese tra i più densamente popolati d’Europa).

Un luogo inusuale di grandi boschi e foreste abitate solo dagli animali selvatici, in mezzo alle quali scorre il Candigliano. Insomma, un grande capitale strategico per la provincia di Pesaro Urbino e per le Marche che andrebbe strenuamente difeso.

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L’area che dovrebbe essere interessata dal nuovo invaso

Tuttavia esiste un concetto che ritorna spesso nella storia ed è quello del famoso “sacrificio necessario”, un metodo di approccio ai problemi con il quale una parte “forte”, di solito quella legata al business, cerca di far digerire ad una parte “debole”, il cittadino e l’ambiente, dei sacrifici in nome di un presunto “fine superiore”.

Così l’invaso del Candigliano viene presentato come scelta inevitabile, addirittura  “green”, mentre, in realtà, sottende la distruzione di interi ecosistemi.

Un esempio? Centinaia di migliaia di alberi adulti verrebbero eradicati o sommersi contro ogni logica e progettualità funzionali a prevenire o mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Le problematiche che si legano agli approvvigionamenti idrici ad uso idropotabile, anche lette in prospettiva e al di là di progettualità più o meno fantasiose e impattanti, come può essere quella di un invaso di grandi dimensioni, non possono prescindere dal recupero di quelle criticità amministrative, tecniche e gestionali  insolute da anni.

UNA SERIA RISTRUTTURAZIONE DELLA RETE IDRICA

Sicuramente, la prima azione da intraprendere dovrebbe essere una seria ristrutturazione della rete idrica che attualmente ha perdite inaccettabilmente elevate.

Dal Documento Unico di Programmazione ATO 2019/2020/2021 si evince una perdita annua di circa 13 milioni di mc di acqua. Circa la stessa quantità che dovrebbe essere garantita dall’invaso sul Candigliano.

Anche volendo considerare una percentuale importante di perdite fisiologiche quello che verrebbe ad essere recuperato potrebbe ammontare a diversi milioni di mc di acqua ogni anno.

SENSIBILIZZARE I CITTADINI CONTRO GLI SPRECHI D’ACQUA

Altra nota dolente le carenti politiche sul risparmio della risorsa. Le campagne di sensibilizzazione dovrebbero essere continue, capillari e rivolte a tutte le categorie sociali. Quanta acqua si potrebbe risparmiare evitando gli sprechi?

Anche il settore agricolo, ovviamente,  dovrebbe fare la propria parte così come la dovrebbero fare i comuni attraverso coerenti Piani Regolatori Generali.

Come già discusso più volte, andrebbe risolta l’annosa questione dell’interrimento degli invasi permettendo il recupero di circa un milione di mc di riserva idrica.

Ancora altri margini potrebbero essere recuperati grazie ad una puntuale azione di controllo su pozzi e captazioni abusive.

Occorrerebbe investire ulteriori risorse in impianti per denitrificazione e in studi sulla   desalinizzazione a vantaggio delle zone costiere, ma soprattutto occorrerebbe investire di più nello studio del territorio il che darebbe modo di rendersi conto di come il preteso accostamento alla diga di Ridracoli, assunta più volte ad esempio, non sia praticabile.

Infatti, l’invaso romagnolo insiste all’interno di un territorio caratterizzato da una gestione forestale virtuosa, capace di dare copertura ai suoli impedendone il dilavamento e il conseguente interramento del bacino”.

GrIG Gruppo Intervento Giuridico  –  Guardie Giurate WWF Marche   La Lupus in Fabula

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