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Primo Maggio, festa del lavoro e di San Giuseppe

La riflessione di don Piergiorgio Sanchioni, parroco di Tavernelle e assistente spirituale delle ACLI.

don piergiorgio sanchoni
don Piergiorgio Sanchioni

TAVERNELLE – “Pensando al 1° maggio imminente, i più giovani lo associano al mega concerto di Piazza S. Giovanni a Roma e alle belle scampagnate “fuori porta”.

I meno giovani ricordano forse “il primo maggio rosso” (non…per lockdown) con grandi comizi e bandiere  al vento.  Altri  lo ricordano come grande adunata di segno opposte, tutte  con  fava, formaggio  e  porchetta. Tutto bello.

Ma cosa è realmente il primo maggio e come si associa a S. Giuseppe lavoratore? La festa del primo maggio ha una lunga storia. È nata addirittura  in America nel 1887 come rivendicazione dei diritti degli operai attaccati dalla polizia e poi nel 1889, in quasi tutta l’Europa, come lotta sindacale di sinistra. In Italia solo nel 1913  arriva e poi viene  soppressa nel ventennio fascista.

È  la festa del lavoro ma soprattutto degli operai con i loro diritti e la loro dignità. La Chiesa non è indifferente a questo sfruttamento e già nel 1891 con l’Enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII mette in guardia dalla brutalità di certi lavori, dal pericolo per la donna e i bambini, dai salari ingiusti.

Pio XII nel 1955 istituisce la Festa di S. Giuseppe il primo maggio. Tanti i documenti  parlano del lavoro, della sua  importanza, non solo come fonte economica ma di possibilità di realizzarsi come persone.  La Chiesa arriva perfino a promuovere una spiritualità del lavoro. Se ci pensiamo il lavoro occupa quasi due terzi della nostra giornata e della nostra vita. E’ fonte di  economia, di sostentamento e di progresso. Ogni lavoro è utile e importante purché sia libero, dignitoso, giusto e solidale. Oggi non si parla più di economia 3.0 (cioè la terza fase informatica) ma economia 4.0 cioè di una economia e di un lavoro sempre più robotizzato. Grandi problemi e grandi cambiamenti: il lavoro che non c’è, il lavoro nero e sporco, il lavoro senza regole nei paesi del terzo mondo, il lavoro minorile, il lavoro logorante e non tutelato, a volte neppure dai sindacati…
Certo c’è un bel da fare per i politici, gli economisti, gli amministratori ma direi per tutti gli uomini di buona volontà.

La Chiesa da madre e maestra si è sempre interessata a questo vasto mondo del lavoro e dei lavoratori con diversi documenti a partire dal “Compendio di Dottrina sociale della Chiesa”. Già nel 1891 Leone XIII ammoniva: “Si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici e di trafficare sulla miseria del prossimo”.(R.N.17).

Nel 1947 è sorta una associazione che prendeva a cuore il lavoro e i lavoratori anche nel tempo libero. Sono le ACLI che solo nella nostra provincia ha 47  circoli e circa 6000 iscritti. Papa Francesco ha voluto rivitalizzare la figura di San Giuseppe lavoratore con l’anno dedicato a lui e con un bel documento “Patris corde”  (Con il cuore di Padre) e afferma: “Giuseppe c’insegna che avere fede in Dio comprende il credere che egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza…  sa trasformare un problema in opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza”.

San Giuseppe è l’uomo laborioso, umile e coraggioso. Il patrono di cui oggi abbiamo bisogno. Buon Primo maggio.

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