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Noccioleti della Loacker nelle Marche, i timori legati alla monocultura

L’incontro di Fiastra organizzato da Coldiretti ed i dubbi sollevati da alcune associazioni di cittadini visto quanto sta accadendo in Lazio e Umbria con i noccioleti della Ferrero.

Un noccioleto sul Lago di Bolsena
Un noccioleto sul Lago di Bolsena

TOLENTINO – Non convince proprio tutti gli agricoltori il progetto presentato dalla Loacker in collaborazione con Coldiretti Marche per le “nocciole Made in Italy”.

Secondo l’Associazione SemInterrati infatti questo progetto ha avuto “il solo scopo di addolcire e camuffare quello che a parere di molti è un vero e proprio , “accaparramento di terre” da poter convertire alla corilicoltura, ovvero la monocoltura del nocciolo.

Come già la Ferrero sta facendo da diversi anni – continua la nota – in particolar modo nel Lazio e nell’Umbria, e più recentemente anche da noi, il cosiddetto “Piano Italia” per la nocciola mira alla creazione di vaste aree (si parla di migliaia di ettari) piantumate a Nocciolo in modo da poter produrre in maniera uniforme e standardizzata le nocciole di cui hanno bisogno, soppiantando di fatto una diversità di produzioni ed andando in questo modo a convertire intere aree ad una coltura altamente inquinante per l’alto uso di pesticidi e diserbanti senza i quali non si riuscirebbe a raggiungere una produzione di tipo industriale.

La monocultura del nocciolo diventerà presto una piaga a livello ambientale e un altro modo per saccheggiare energie e risorse ad un territorio già provato da anni.

Il copione – si legge nella nota – potrebbe essere sempre lo stesso: si propone ad agricoltori e allevatori, magari in difficoltà, di riconvertire le loro attività in corilicoltura (monocoltura di nocciole), ovviamente in biologico, per usufruire degli incentivi europei.

Però i noccioleti diventano produttivi solo dopo 5 anni e a quel punto, come l’esperienza della Turchia insegna, addio biologico e si passa a metodi tradizionali con danni che ambientalisti denunciano da tempo, appoggiandosi a studi internazionali.

A rischio sarebbero ad esempio le falde acquifere per non parlare di un impoverimento del suolo. Ma oltre al danno la beffa, questi coltivatori si lasciano attrarre da contratti di produzione apparentemente vantaggiosi che li vincolano per ben 20 anni a questo tipo di monocoltura, e lasciano il loro futuro economico nella mani di una multinazionale che, forte del monopolio produttivo, in seguito sarà sempre nella condizione di forza, per fissare a suo piacimento i prezzi di acquisto del prodotto.

Come SemInterrati – continua la nota – insieme ad altre realtà di tutto il centro Italia (a febbraio si è tenuto un primo incontro anche qui nelle Marche a Tolentino, a cui hanno partecipato molte realtà del centro Italia, per cercare una linea comune di azione) stiamo portando avanti un coordinamento che punta a far capire quanto dannoso sarebbe per l’agricoltura delle nostre terre questo tipo di attività, e che impoverimento a lungo termine ci sarebbe.

Non possiamo permettere che qualsiasi signorotto del cibo arrivi e faccia i suoi comodi a scapito delle comunità e dei lavoratori agricoli, compromettendo di fatto territori che ancora mantengono (se pur rosicchiata ) una diversità di produzione che sono una ricchezza e un vantaggio, preservano il suolo e le piccole economie territoriali, anche in periodi di crisi dovuti a fattori non facilmente prevedibili”.

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