URBINO – Il 22 aprile di 10 anni fa moriva Emilio Pozzi. Se ne andava, senza clamore, nella sua Milano, all’età di 83 anni. Un “attento interprete del ruolo insostituibile del teatro pubblico” così era stato ricordato al Piccolo Teatro, quella istituzione alla quale aveva dedicato particolare attenzione “per scelta professionale e civile”. Ci aiuta nel suo ricordo l’articolo pubblicato da Vito Minoia sulla rivista “I Teatri delle diversità”uscito nell’aprile del 2010.
Pozzi aveva lavorato alla RAI dal 1945 occupandosi di spettacolo. Era partito dal giornale radio come radiocronista a Milano, poi a Roma con la direzione della “Ricerca e sperimentazione programmi” ed infine alla RAI Torino dove aveva diretto la sede regionale piemontese per dieci anni dal 1980.
Nella sua carriera è stato anche corrispondente per la radio Svizzera di Lugano per la quale aveva raccontato, da Milano, gli anni bui della strategia della tensione. Emilio Pozzi è stato formatore di una intera generazione di giornalisti all’istituto di formazione regionale “Carlo De Martino”.
Ha insegnato per 25 anni storia del teatro e dello spettacolo all’Università di Urbino curando la pubblicazione di diverse collane.
Nel 1988, l’incontro con Vito Minoia, suo allievo. Ad unirli profondamente è stata l’esperienza dei “Teatri delle diversità” a cui seguì nel 1996 la fondazione della rivista trimestrale europea omonima e, dal 2000, l’annuale convegno svoltosi prima a Cartoceto e oggi ad Urbania. L’obiettivo era, ed è ancora oggi, la riflessione critica di metodi che aprono strade all’integrazione grazie ad una cultura della convivenza.
Emilio Pozzi aveva un profondo interesse per il mondo penitenziario (che definiva il “mal di carcerite”) che non nasceva per caso. Infatti, negli ultimi venti anni della sua vita, ha svolto, assieme alla moglie Luciana, una attività di volontariato nel carcere milanese di San Vittore, promuovendo attività culturali rivolte ai detenuti..
C’è anche un aspetto fortemente autobiografico che lo legava al mondo del carcere. Pozzi aveva anche il ricordo indelebile di essere stato arrestato dai nazisti e detenuto politico durante la Resistenza nello stesso carcere di San Vittore, con il numero di matricola 941. Aveva solo 17 anni. La sua colpa era stata quella di aver partecipato alla guerra di liberazione nazionale (1943/1945) come combattente partigiano del Fronte della Gioventù.
Così Pozzi descriveva la resistenza prendendo a prestito le parole del filosofo Dino Formaggio: “La Resistenza è un atto di vita, una scelta etica ed un rifiuto opposto alla distruzione dell’uomo, infine un’offerta di liberazione che l’uomo offre, a costo della propria vita, all’altro uomo. Un atto di questo genere non si commemora né si celebra, si può viverlo insieme, come insieme può essere vissuta l’indicibile essenza dell’uomo”.
Emilio Pozzi è stato un maestro per molti, anche per tanti giovani. Sapeva dosare sapientemente un grande spessore culturale con una potente umanità, frutto di una vita vissuta a pieno.