FANO – Annamaria Di Carlo, docente di lettere e fanese doc, ricorda via Vitruvio e la casa dove ha vissuto per cinquant’anni. Un tuffo nella memoria di una Fano in cui creatività ed artiginalità si fondevano tanto da costruire una vera e propria barca in un cortile del centro storico. Oggi quell’area è salita alle cronache per gli importanti ritrovamenti archeologici romani e medievali.
“Era una bella giornata di luglio, noi quattro stavamo come al solito aspettando di uscire per essere portati in spiaggia e nel frattempo ci divertivamo a percorrere il cortile in lungo e in largo con le nostre biciclette cui da poco erano state tolte le ruote dietro di sostegno: ormai eravamo grandi e avevamo conquistato l’equilibrio.
Dal portone principale che dava sulla via, inconfondibile per le pietre di arenaria che lo caratterizzavano e le due iscrizioni su pietra “viva Gesù e viva Maria”, testimonianza di un passato da convento della casa, cominciavano ad entrare, non a fatica, una serie di tavole di legno che noi bambini non avevamo mai visto e delle quali ancora non conoscevamo il destino.
Era comunque una festa poter assistere al posizionamento dei legni in quell’angolo sopraelevato di giardino dove era appesa la nostra altalena, compagna di quei pomeriggi assolati e silenziosi, in cui a turno ci dondolavamo con la spinta delle gambe per raggiungere la pianta di alloro dietro a noi e superare il muretto davanti.
Intanto dall’altra parte, nel giardino di casa si ragionava su dove allestire il tradizionale pranzo di benvenuto per parenti e amici che tornavano a trascorrere le vacanze estive.
Nonno e suo fratello Gino stavano completando la messa in opera del cantiere per costruire il terrazzo che sarebbe servito da portico per i pranzi e le cene estive che hanno sempre caratterizzato gli eventi della nostra casa.
Pertanto la tavola doveva essere imbandita altrove, non dietro la cucina, all’aperto, lí c’erano i lavori che fervevano … «prepara la calce, aggiungi il cemento, sposta i mattoni…».
Quell’anno, proprio lí, non si poteva, avremmo dovuto spostarci in cortile, ma eravamo contenti lo stesso: fortunatamente non si rinunciava a tanta festa giornaliera e in più c’era anche l’incognita dei legni che si sarebbero trasformati …e per noi bambini era una gioia vivere in questo clima laborioso e frenetico.
Man mano che i giorni passavano le tavole di legno assumevano altre sembianze e tra una martellata sui chiodi e uno stridere di sega, la bella e agile Elide stava prendendo forma, la forma di una barca da pesca che sarebbe uscita proprio dal nostro portone e da quella porticina intermedia che Rico e Wolfango avevano preventivamente misurato poiché loro erano precisissimi e non avrebbero sbagliato: Elide doveva essere portata assolutamente in porto per iniziare la sua attività.
E fu così che nel cortile della nostra casa vide la luce una creatura di legno tutta fatta rigorosamente a mano, bianca e verde… Rico e Wolfango, non erano maestri d’ascia; forse erano molto di più. Avevano le mani capaci di trasformare la materia prima in manufatti di ogni genere… creavano, forgiavano, riparavano.
Rico ad un certo punto della sua vita addirittura, animato da una vera passione per l’ebanisteria, studiando e provando, ha iniziato a creare strumenti a corda indimenticabili, con una particolare predilezione per i violini… in quel mezzanino angusto pieno di attrezzi in ordine e sagome di legno pregiato che pian piano avrebbero emesso suoni diversi.
Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che quel terrazzo sotto al quale si sarebbero svolti tanti pranzi e tante cene estive, e quella barca nata su quel giardino un po’ rialzato che non ci spiegavano perché lo fosse, avessero avuto il privilegio di sovrastare e nascere sulle spoglie di così imponenti strutture romane e resti medievali pieni di storia. Era casa Darderi e per me lo sarà per sempre.