Il Metauro
notizie dalla valle del Metauro

“Ricordo di Katia, una presenza”

Le parole di Tiziana Mattioli, membro del comitato scientifico della Fondazione "Carlo e Marise Bo" di Urbino, in ricordo di Katia Migliori recentemente scomparsa

katia_migliori_foto
Katia Migliori

URBINO – Il ricordo di Katia Migliori nelle parole di Tiziana Mattioli, membro del comitato scientifico della Fondazione “Carlo e Marise Bo” di Urbino.

“Ritengo un privilegio poter rappresentare, per la Fondazione Carlo e Marise Bo per la letteratura europea moderna e contemporanea e quindi l’Università di Urbino, il sentimento drammatico di una perdita così precoce, così inaspettata, così difficile da accogliere.

Katia è stata, e resterà per sempre come un fermo immagine, “la donna che passa” e si rivela, nel mistero della sua presenza-assenza, del suo essere sempre qui e altrove, come si poteva leggere nel suo sguardo mobilissimo ma fermo, turbato e scorciato, sempre interrogativo, velato di inquietudine.

Era così anche il suo corpo, la sua distinta e originale, essenziale eleganza. Era così la sua presenza, cioè il carisma di cambiare le situazioni, nel suo esserci, nel suo magnetismo fisico e intellettuale.

Sembrava sempre giungere improvvisa alla luce da vasti territori di meditazione, che erano del resto una sua pratica, e da attenzioni letterarie, filologiche ed estetiche di profonda sillabazione della parola, come del resto non poteva non essere per lei, venuta dall’alto magistero ungarettiano mediato dal suo maestro, Mario Petrucciani, e poi dalla inarcata e filosofica ed etica parola di Mario Luzi, e se si vuole anche dai grandi silenzi di un maestro-amico come Pino Paioni, e quegli stessi di Carlo Bo, di cui Katia, con straordinaria opportunità e ragione, ha ripubblicato, nel marzo del 2012, uno dei libri più belli e più intimi: il Diario aperto e chiuso. 1932-1944, accompagnandolo da una sua Approximation finale che dice tutto del suo modo e del suo mondo critico, di questa sola possibilità dell’interprete di tentare l’avvicinamento possibile alle grandi voci e alle grandi anime degli autori, coscienti sempre di uno scacco ma anche del vigore e della rinascita che può esserci nella lacuna, nella perdita, nella mancanza.

Da quel Diario, Katia cita un frase di Bo, per Éluard, che mi piace qui trascrivere, come fosse un suo ritratto: “non riesco a staccarmi da un movimento fra ‘la mort si facile et si difficile’ di un tempo e quest’ultimo verso che in raccourci ci dà tutta l’evidenza di questa forza che tiene ormai nella sua poesia il tono della magìa, le stesse posizioni interiori”.

Forza, magìa, sottilissimo equilibrio fra il quotidiano e l’assoluto sono stati i cardini del magistero di Katia. Gli allievi che uscivano dall’aula del Parnaso, a Palazzo Veterani, dopo le sue lezioni, avevano sguardi smarriti e luminosi. Molti restavano a ragionare con lei di poesia, nel suo studio, condiviso con la cara amica Marta Bruscia che le aveva lasciato, in eredità, il suo insegnamento di Storia della Critica, da affiancare, come un’ancòra gettata, al suo insegnamento di Estetica.

Katia con gli allievi costruiva intensi progetti didattici e di studio, spendibili dentro e fuori l’Università, perché spesso diventavano reading, installazioni, esposizioni. Insomma, cammini.

Percorsi spesso difficili da far accogliere, per il loro eclettismo, durante le sedute delle tesi di laurea, nella loro originalissima voce.

Negli ultimi anni del suo insegnamento, assieme a Silvia Cuppini, un’altra cara amica che ci ha lasciato nel grande vuoto, spesso Katia mi chiedeva le correlazioni, ed io ne ero felice, perché c’era sempre qualcosa di vibrante, di magmatico, di proiettivo in quelle interrogazioni che lei costruiva seguendo maieuticamente gli allievi, con grande generosità.

Così è stato anche alcuni anni in cui mi aveva chiesto di far parte della giuria del premio “Mario Luzi” di Montemaggiore al Metauro. Così – di questa felicità, voglio dire – è stata la collaborazione che le avevo chiesto per partecipare ad una giornata di studio per un grande poeta, suo maestro: Franco Scataglini.

E nelle parole, nelle pagine poi stampate, nei ricordi di quelle giornate e di quelle confidenze la ritrovo così vicina, quasi tangibile. Mi parlava, allora, della grande avventura di “Lengua”, del suo correre dalle Marche a Bologna, da Gianni Scalia, come fosse un postina “pasionaria della letteratura” (amava dire), che gettava totalmente la sua vita nel cuore della letteratura, e quindi della realtà.

Recitava di lui un verso: “Sapé è vita de vita”. La conoscenza dunque come reduplicazione e moltiplicazione dell’essere. Ancora una volta, come presenza. Katia scriveva per Scataglini, ed ora io scrivo per lei: “se noi siamo qui a ricordare Franco [Katia] vuole dire ‘dolorosamente’ che non c’è più e che ne stiamo parlando: in altre parole possiamo dire soltanto parole su di lui [lei] con il solo sentimento della ‘vicinanza’ e con la sola impressione di avere in qualche modo spiegate tra noi le sue ‘idee’ e di spiegarle – forse un poco presuntuosamente – poi, a voi, che siete qui ora. Con la distanza del tempo comincio a pensare che le sue ‘idee’, ed anche le nostre, siano il suo corpo, il nostro corpo, la sua-nostra esistenza, la nostra-sua presenza nella comunità degli uomini, come ‘compagni’, individui-non divisi, nella società”.

Questa la luce di Katia, che terremo con noi per sempre, come lei soleva dire, “nella traccia della memoria”.

altri articoli