Il Metauro
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I racconti di Marco, la giostra alla festa del Beato Sante

Marco Manoni continua il suo racconto a puntate sulla Lucrezia degli anni '40 e '50. Il racconto delle feste agostane del Beato Sante.

marco manoniLUCREZIA – L’altra famiglia che abitava nello stesso edificio della famiglia Serra si chiamava Mencaccini. Ricordo una donna di mezza età, vedova. Non ho mai conosciuto il suo vero nome perché tutti la chiamavano Nardina.

Aveva quattro figlioli tre maschi ed una femmina. I due maschi più grandi appena giovinetti emigrarono in Francia. Li ho conosciuti quando, in estate, durante le ferie tornavano dalla loro mamma.

Con Vittorio il figlio più piccolo ho avuto un bel rapporto di amicizia perché eravamo coetanei e siamo cresciuti all’ombra della parrocchia e, quando più tardi facemmo il nostro percorso in politica, condividevamo le stesse idee fondate negli ideali cristiani.

A quel periodo risale anche la mia conoscenza di Nazzarena e del suo fidanzato Livio. Era agosto quando una domenica andammo in pellegrinaggio  al Beato Sante nella ricorrenza della sua festa, santo che era patrono di Mombaroccio.

Partimmo all’alba io e le mie sorelle: Leda, Fiorella e Rita. Mamma Lidia la sera precedente aveva riempito il fazzoletto della gluppa con un coniglietto arrosto, pane, acqua e vino ed una vecchia borsa per mettere i nostri sandali perché allora, d’estate, si camminava a piedi nudi per non consumare le suole.

Dopo un paio di ore arrivammo al Beato Sante, prima di entrare in chiesa indossammo i sandali, facemmo la fila per visitare l’urna del santo e poco più tardi prendemmo parte alla Santa Messa.

Ricordo che il frate celebrante durante l’omelia raccontò qualche miracolo compiuto dal Beato, in particolare quando da una stalla uscì un toro impazzito che caricava tutti quelli che trovava lungo la strada.

Allora chiamarono il giovane Sante che era già in odore di santità, andò in strada verso il toro, alzò le mani ed il toro ammansito si mise in ginocchio davanti al Beato Sante. Le persone che ascoltavano si commossero. Finita la messa andammo a mangiare nella piccola boscaglia che attorniava il convento dei frati.

Noi fanciulli non vedevamo l’ora di partecipare alla festa perché c’erano tanti giochi, uno di questi che ci attraeva in modo particolare era la stupenda giostra.

Nei giorni precedenti la festa noi ragazzi vendevamo le pelli dì coniglio, la ferraglia e quant’altro allo straccivendolo che passava per le case. Il ricavato sarebbe servito per godere dei giochi alla festa del Beato Sante.

Gioivamo, alla presenza di nostra madre, quando giravamo nell’azzurro infinito sui seggiolini di quella macchina che ci regalava felicità. Mamma Lidia chiese l’ora ad un signore che aveva l’orologio nel taschino del gilet e decise che era ora di tornare a casa.

Ma prima passammo di nuovo in chiesa dove mamma acquistò tante medagliette che i giorni seguenti avrebbe agganciato all’interno delle nostre magliette e ci avviammo verso casa.

Lungo il percorso incrociammo tante persone, tra queste anche Livio e la Nazzarena che mamma conosceva bene. Parlarono di tante cose durante il cammino: del loro imminente matrimonio, dei genitori e suoceri che erano in età avanzata ma soprattutto della gioiosa previsione dei bimbi che sarebbero nati con tanta tenerezza.

Io ero ancora un bambino ma riuscì a capire che quei discorsi contenevano sani principi e veri ideali che oggi non nominiamo nemmeno più. Ringrazio mamma Lidia, Livio e Nazzarena per quella testimonianza di valori cristiani che mai più si ripeterà.

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