Il Metauro
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Adriano Olivetti tra utopia e realtà

Il 27 febbraio di 60 anni fa moriva questo imprenditore illuminato

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Adriano Olivetti ad Ivrea (immagini della Fondazione Adriano Olvietti)

Il 27 febbraio di 60 anni fa moriva Adriano Olivetti. Il nostro racconto di questa straordinaria figura pubblicato sulla rivista MAG nel maggio del 2009, dal titolo “Utopie concrete”

Piemonte. Canavese. Ivrea. Da questi luoghi è partita l’esperienza di un imprenditore che ha perseguito un sogno industriale ed un progetto sociale che hanno segnato la storia del nostro Paese. Un’utopia pensata, elaborata e, in buona parte, anche realizzata. Il tutto partendo da una modesta fabbrica di prodotti per ufficio. Ivrea, come molte città di provincia, sembra non essere toccata da quell’ondata di forti trasformazioni che coinvolgono le città italiane dopo la seconda guerra mondiale.

La maggior parte della popolazione continua a dedicarsi alla coltivazione delle terre e l’influenza della vicina Torino è minima.

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Gli edifici industriali dell’Olivetti in via Jervis ad Ivrea sono stati riconosciuti patrimonio dell’UNESCO (foto Conte Camillo)

Ma grazie ad Adriano Olivetti, un imprenditore illuminato, in poco più di un decennio, i concetti di modernità, di cultura e di benessere si faranno strada tra la gente dando origine ad uno sviluppo industriale senza precedenti.

Il padre Camillo, agli inizi del novecento, crea la prima fabbrica: una offi cina artigianale in cui lavorano venti operai. Nel 1911 arriva il primo grande risultato: una macchina da scrivere Olivetti è presente all’Esposizione Universale di Torino.

Adriano è giovane e lavora nella fabbrica del padre. Sperimenta sulla propria pelle il senso di alienazione a cui sono sottoposti gli operai che, quotidianamente, sono costretti a ripetere le stesse operazioni durante la produzione.

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TALPONIA, Ivrea – unità abitative realizzate per ospitare i dipendenti Olivetti (foto Conte Camillo)

Si laurea in ingegneria chimica al Politecnico di Milano. Allo stesso tempo è continuamente alla ricerca di stimoli culturali molto diversi tra loro coltivando la passione per la storia, la letteratura, la fi losofi a, l’arte e l’architettura.

Nel 1933, a poco più di trent’anni, succede al padre alla direzione dell’azienda ma il regime fascista e la seconda guerra mondiale costringeranno il suo progetto d’impresa ad una pausa forzata. È stato un forte oppositore del regime.

Si ricorda, ad esempio, il suo intervento a fianco di Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Sandro Pertini per la liberazione di Filippo Turati.

Quello di Adriano Olivetti è un grande sogno industriale, un sogno che mira al successo e al profitto ma, allo stesso tempo, una tensione verso contratti e condizioni di lavoro del tutto innovative.

Olivetti elabora un nuovo rapporto tra imprenditore e operaio, un nuovo concetto di classe dirigente, un nuovo equilibrio tra la fabbrica e la città in cui si trova: un sogno che è destinato a diventare realtà.

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La tomba di Adriano Olivetti nel cimitero di Ivrea (foto Conte Camillo)

La guerra finisce, l’industria riparte, Adriano Olivetti torna a dirigere la fabbrica di Ivrea con molti progetti animati dalle sue utopie e dai suoi ideali.

Il fine dell’impresa è unicamente il profitto? Una domanda improponibile nel mondo industriale del tempo, e non solo. Adriano si interroga su questo punto e riesce ad andare addirittura oltre perché si dà una risposta che diventerà il principio a cui si ispireranno tutte le sue scelte: il profitto deve essere reinvestito per il benessere della comunità.

Un imprenditore illuminato o un folle utopista? Investire capitali per costruire fabbriche moderne, spaziose, belle, inserirle con armonia nel paesaggio urbano era impensabile per un mondo imprenditoriale che concepiva il luogo di lavoro esclusivamente in funzione della produzione.

Ma Adriano Olivetti non aveva dubbi sul fatto che la bellezza, in tutte le sue forme, fosse un mezzo per l’elevazione dell’uomo. Per questo chiama i più geniali architetti di quegli anni e fa di ogni suo nuovo complesso industriale una vera opera d’arte.

Così Ivrea cresce con edifici di grande modernità. In quel periodo la città si affolla di artisti, scrittori, intellettuali diventando “l’Atene degli anni ‘50”.

Impegno, motivazione, identificazione con l’azienda: questi i segreti di un successo che espresso in cifre sfiora l’incredibile: in poco più di un decennio la produttività cresce del 500%. Il volume delle vendite, con l’apertura dei mercati esteri, aumenta del 1.300%.

I profitti sono alle stelle e il successo finanziario va di pari passo con quello d’immagine: la grafi ca “olivettiana” è conosciuta e apprezzata in tutto il mondo.

La mitica “Lettera 22” viene annoverata tra i primi cento migliori prodotti degli ultimi cent’anni.

Ma Adriano Olivetti non sarà imitato dal mondo degli industriali del suo tempo. È stato uno dei più potenti imprenditori italiani ma non si vedeva quasi mai nella sede dell’Associazione degli Industriali. Semplicemente non gli interessavano certe logiche di potere, aveva altri obiettivi.

Ed è forse per questo che non era troppo amato. In fondo gli imprenditori si trovavano di fronte “un’anima inquieta” che metteva continuamente in discussione il loro operato, e non solamente per un problema di etica aziendale, termine o valore a quei tempi sconosciuto, ma perché i privilegi di cui godevano i dipendenti dell’Olivetti potevano contribuire ad acuire il conflitto tra capitale e lavoro.

Una bella figura quella di Adriano Olivetti che per qualche strana ragione, ma forse non troppo, molti oggi non conoscono. La situazione economica attuale sembra aver riportato i temi dell’etica e della responsabilità sociale dell’impresa al centro dei soliti dibattiti.

Eppure, in un passato non così lontano, ci accorgiamo che la storia ha regalato figure esemplari che sono state capaci di dare concretezza a concetti astratti come il rispetto e la valorizzazione della persona.

La scommessa è scritta in questa bellissima storia: riuscire a scrollarci di dosso la pesantezza di un quotidiano divenuto banalmente insopportabile, riprendere il volo verso ciò che è bello e ricostruire tutto partendo da lì.

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