FANO – Katia Migliori si è spenta all’età di 73 anni dopo l’ictus che l’aveva colpita qualche giorno fa. Docente dell’ateneo urbinate è stata allieva di Pino Paioni, fondatore del Centro di Semiotica e di linguistica e del poeta Mario Luzi.
In onore di quest’ultimo aveva dato vita a Montemaggiore al Centro Studi, ancora oggi attivo, e promosso una borsa di studio per tesi sull’attività del grande poeta italiano.
Tra le sue diverse pubblicazioni, nel 2008, aveva realizzato con la casa editrice Conte Camillo, “Le Dilettante, sopra la critica vol. 1” dedicato a Mario Petrucciani.
I funerali si svolgeranno venerdì 7 aprile alle ore 10,30 al Cimitero dell’Ulivo.
Qui di seguito un ritratto completo della professoressa Migliori di Marco Ferri, poeta e Giovanni Belfiori, direttore di Passaggi Festival.
“Katia Migliori era una schermidora, e la sua vita è stata piena di incroci. Noi l’abbiamo incontrata incrociandola, all’università, nelle case di amici, nelle notti di un bar, in una mostra o nei pressi di una libreria, nei testi che scriveva, ovunque, su un biglietto di fortuna, sulle scatole di cerini che collezionava, sulle pagine bianche di un taccuino.
Ha insegnato all’Università di Urbino, ed è stata punto di riferimento intellettuale per centinaia di studenti; ha dato vita nel 1982, insieme a Gianni D’Elia, alla rivista “Lengua”, ha fondato il Centro studi “Mario Luzi” di Montemaggiore al Metauro, ha collaborato più volte con Passaggi Festival.
Ha pubblicato e curato saggi, l’ultima sua opera è uscita alla fine del 2022 per la casa editrice Aras: un volume con contributi inediti su Pasolini.
Fin qui la stringata nota biografica che è d’obbligo in queste circostanze, ma chi ha avuto la buona sorte di conoscerla e frequentarla sa quanto Katia fosse letterata di grande raffinatezza, originale, sempre fuori binario, elegante nelle parole e nei gesti. La scherma e le parole, insomma.
Amava e studiava e scriveva di Maurice Blanchot, Edmond Jabes, Mario Luzi e Pasolini, tanto da chiamare il suo amato figlio proprio Pier Paolo. Infaticabile nel suo lavoro di ricerca, aveva tanti progetti che le sarebbe piaciuto realizzare, a cominciare dalle traduzioni di Blanchot che aveva curato con passione e rigore estrema.
Lei è stata davvero, per tutta la vita, nel libro, a volte sulla soglia, a volte nelle pagine, quando la ferita era più forte. Nel libro ha vissuto, sperimentato, amato, conosciuto.
Non c’era però soltanto il libro, al centro della sua riflessione, perché lei usava una specie di microscopio, così al centro stava la parola, indagata sotto ogni suo aspetto, vezzeggiata, curata, esplorata in profondità. Come avrebbe potuto fare diversamente? Allieva di quello straordinario semiologo senza bibliografia, un genio dell’oralità, che era Pino Paioni, fondatore del Centro di semiotica e linguistica dell’Università di Urbino.
A noi piacerà ancora ricordarla così, a colloquio con Jabes nella palestra del liceo scientifico di Fano, in piedi davanti alla cattedra di via Veterani a Urbino nella sua lezione sulla letteratura amorosa, nello studio di Tullio Ghiandoni dove ci alternavamo, attratti dallo stesso istinto: quello verso la poesia delle immagini. Che fosse la parola o l’immagine, infatti, era la stessa attrazione. E tra gli amici comuni c’erano i pittori: Valter Gambelli, Giordano Perelli, Giorgio Antinori e gli urbinati.
C’è, però, un modo migliore per ricordare Katia: farlo non con le nostre, bensì con le parole di Katia. Nel 2020 concesse a Passaggi di pubblicare un suo testo poetico inedito che si conclude con versi che oggi potrebbero farle da epigrafe:
Che tutto ciò che avverti,/ …là / sia qui per noi / respiro / …ancora.”